Archivio per marzo, 2015

ANNO DELLA VITA CONSACRATA (30 novembre 2014-2 febbraio 2016)

Il consacrato non è qualcosa di più del battezzato, quasi costituisse  un “terzo stato” tra il laico e il ministro ordinato. La Vita Consacrata non è migliore di un’altra vocazione, ma ha solo una “obiettiva eccellenza” [VC. 18]. “Migliore” e “più” comportano confronto, “eccellente” esprime semplicemente un valore in sé. Come Gesù è il casto per eccellenza, l’obbediente per eccellenza, il povero per eccellenza, l’apostolo per eccellenza. L’eccellenza sta proprio nella vocazione da parte del Padre, non concessa a tutti, a vivere il valori del Regno come Gesù, grazie ad “uno specifico dono dello Spirito Santo” [VC. 30]. Lo stesso modo di vivere di Cristo! Una vita conformata a Cristo! La realizzazione del “sono nel mondo (…) ma non sono del mondo” [Gv. 17, 11.16].

La Vita Consacrata infatti ha un forte valore di testimonianza e di segno: testimonianza a Cristo, testimonianza ecclesiale, testimonianza fraterna; segno, profezia, del gratuito in un mondo affascinato dal possesso e dal fare, del tutto relativo al Padre, dell’ecologico, del giusto rapporto con il creato, dell’escatologico come conversione continua verso quello che si è.

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ANNO DELLA VITA CONSACRATA (30 novembre 2014-2 febbraio 2016)

  1. Il fondamento evangelico della Vita Consacrata va cercato nel rapporto speciale che Gesù, nella sua esistenza terrena, stabilì con alcuni dei suoi discepoli, invitandoli non solo ad accogliere il Regno di Dio nella propria vita, ma porre la propria esistenza a servizio di questa causa, lasciando tutto e imitando da vicino al sua forma di vita” [VC. 14]. Quindi si tratta di: “una esistenza cristiforme”,  speciale vocazione,  dono dello Spirito, radicalità nella sequela, missione per il Regno. Tutti i battezzati come tali sono chiamati a seguire Cristo, tutti sono chiamati a vivere i consigli evangelici, perché tutti insieme formiamo e significhiamo il Cristo totale. Così il laico rispecchia la secolarità della vocazione secolare di Cristo, il ministro sacro il Cristo capo e pastore, il consacrato di Cristo totalmente votato al Padre, vergine, povero, obbediente, tutto e solo del Padre. Questo è il Cristo-oggi; questa è la Chiesa. Non c’è Chiesa senza una di queste componenti. Per questo “la professione dei consigli evangelici appartiene indiscutibilmente alla vita e alla santità della Chiesa” [VC. 29]. Pertanto la Vita Consacrata “non potrà mai mancare alla Chiesa  come un suo elemento irrinunciabile, in quanto espressivo della sua stessa natura” [VC. 29].

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ANNO DELLA VITA CONSACRATA (30 novembre 2014-2 febbraio 2016)

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Tutto cominciò quando avevo 11 anni. Un compagno di classe mi invitò all’oratorio e poi anche a fare il chierichetto. Accadde così che mentre svolgevo il mio servizio all’altare iniziai ad ascoltare con attenzione le parole che il sacerdote pronunciava durante la Messa e capii che quelle parole erano rivolte a Dio in nome del popolo. Tra me e me pensai: “Se si rivolge a Dio è un pazzo, oppure Dio esiste veramente! Se Dio esiste allora ci si può rivolgere a Lui”.

Fino a quel momento infatti, io non frequentavo la parrocchia e nessuna chiesa e non mi ero mai messo il “problema” di Dio, nonostante pochi anni addietro avessi ricevuto la Prima Comunione. Nella mia famiglia, infatti, fino a quel momento, nessuno frequentava la chiesa e nessuno percorreva un cammino di fede. Feci questa preghiera: “Dio della Messa, se esisti, fatti sentire anche da me”. La risposta arrivò qualche mese dopo, quando, quasi improvvisamente, iniziai ad avvertire una presenza fortissima dentro di me, così forte che non ebbi nessun dubbio, anche se a 11 anni: Qualcuno aveva preso dimora dentro di me. Capii che il Dio della Messa esisteva e aveva risposto, e in quel momento iniziò a formarsi dentro di me anche un’altra consapevolezza: se Dio esisteva ed era capace di farsi sentire così forte, allora valeva la pena dare tutta la vita per Lui. In quegli anni fu molto importante la presenza di quel sacerdote di cui parlavo sopra, il quale con molta amorevolezza si dimostro sempre disponibilissimo nei miei confronti per spiegarmi tutte le mie curiosità su Dio, sulla Chiesa. Anche lui era un innamorato di Dio e ciò che io iniziai a sentire in quel periodo, in lui era ormai consolidato da tanti anni e da tanta esperienza. Oggi dico: grazie a Dio che ha messo nella mia strada un simile sacerdote! In seguito entrai in seminario, poi uscii e rientrai di nuovo, poiché in effetti la vocazione doveva fare i conti con la mia turbolente adolescenza. Già allora mi piaceva molto leggere, e tra le tante letture mi colpirono in particolare due: la figura di p. Cristoforo ne I promessi sposi, una biografia di san Francesco d’Assisi. Questi temi fecero nascere in me il desiderio di consacrarmi a Cristo attraverso la vita francescana e questo si rese possibile attraverso la conoscenza di un’altra persona: un sacerdote che era anche frate. La “frittata” era fatta. Dopo due anni da quest’ultima conoscenza, lasciai il seminario per entrare in convento all’età di 19 anni. Da quel giorno sono passati altri 17 anni e quella Presenza fortissima non se n’è più andata, ha stravolto la mia vita e ne sono felice! Nonostante i miei limiti e le mie difficoltà e i tanti errori, sento di essere amato gratuitamente e di essere chiamato a restituire lo stesso amore.

«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8)

 Cari giovani,

continuiamo il nostro pellegrinaggio spirituale verso Cracovia, dove nel luglio 2016 si terrà la prossima edizione internazionale della Giornata Mondiale della Gioventù. Come guida del nostro cammino abbiamo scelto le Beatitudini evangeliche. L’anno scorso abbiamo riflettuto sulla Beatitudine dei poveri in spirito, inserita nel contesto più ampio del “discorso della montagna”. Abbiamo scoperto insieme il significato rivoluzionario delle Beatitudini e il forte richiamo di Gesù a lanciarci con coraggio nell’avventura della ricerca della felicità. Quest’anno rifletteremo sulla sesta Beatitudine: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8).

1. Il desiderio della felicità

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La parola beati, ossia felici, compare nove volte in questa che è la prima grande predica di Gesù (cfr Mt 5,1-12). È come un ritornello che ci ricorda la chiamata del Signore a percorrere insieme a Lui una strada che, nonostante tutte le sfide, è la via della vera felicità.

Sì, cari giovani, la ricerca della felicità è comune a tutte le persone di tutti i tempi e di tutte le età. Dio ha deposto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna un desiderio irreprimibile di felicità, di pienezza. Non avvertite che i vostri cuori sono inquieti e in continua ricerca di un bene che possa saziare la loro sete d’infinito?

I primi capitoli del Libro della Genesi ci presentano la splendida beatitudine alla quale siamo chiamati e che consiste in comunione perfetta con Dio, con gli altri, con la natura, con noi stessi. Il libero accesso a Dio, alla sua intimità e visione era presente nel progetto di Dio per l’umanità dalle sue origini e faceva sì che la luce divina permeasse di verità e trasparenza tutte le relazioni umane. In questo stato di purezza originale non esistevano “maschere”, sotterfugi, motivi per nascondersi gli uni agli altri. Tutto era limpido e chiaro.

Quando l’uomo e la donna cedono alla tentazione e rompono la relazione di fiduciosa comunione con Dio, il peccato entra nella storia umana (cfr Gen 3). Le conseguenze si fanno subito notare anche nelle loro relazioni con sé stessi, l’uno con l’altro, con la natura. E sono drammatiche! La purezza delle origini è come inquinata. Da quel momento in poi l’accesso diretto alla presenza di Dio non è più possibile. Subentra la tendenza a nascondersi, l’uomo e la donna devono coprire la propria nudità. Privi della luce che proviene dalla visione del Signore, guardano la realtà che li circonda in modo distorto, miope. La “bussola” interiore che li guidava nella ricerca della felicità perde il suo punto di riferimento e i richiami del potere, del possesso e della brama del piacere a tutti i costi li portano nel baratro della tristezza e dell’angoscia.

Nei Salmi troviamo il grido che l’umanità rivolge a Dio dal profondo dell’anima: «Chi ci farà vedere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?» (Sal 4,7). Il Padre, nella sua infinita bontà, risponde a questa supplica inviando il suo Figlio. In Gesù, Dio assume un volto umano. Con la sua incarnazione, vita, morte e risurrezione Egli ci redime dal peccato e ci apre orizzonti nuovi, finora impensabili.

E così, in Cristo, cari giovani, si trova il pieno compimento dei vostri sogni di bontà e felicità. Lui solo può soddisfare le vostre attese tante volte deluse dalle false promesse mondane. Come disse san Giovanni Paolo II: «è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E’ Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande» (Veglia di preghiera a Tor Vergata, 19 agosto 2000:Insegnamenti XXIII/2, [2000], 212).

2. Beati i puri di cuore…

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Adesso cerchiamo di approfondire come questa beatitudine passi attraverso la purezza del cuore. Prima di tutto dobbiamo capire il significato biblico della parola cuore. Per la cultura ebraica il cuore è il centro dei sentimenti, dei pensieri e delle intenzioni della persona umana. Se la Bibbia ci insegna che Dio non vede le apparenze, ma il cuore (cfr 1 Sam 16,7), possiamo dire anche che è a partire dal nostro cuore che possiamo vedere Dio. Questo perché il cuore riassume l’essere umano nella sua totalità e unità di corpo e anima, nella sua capacità di amare ed essere amato.

Per quanto riguarda invece la definizione di “puro”, la parola greca utilizzata dall’evangelista Matteo è katharos e significa fondamentalmente pulito, limpido, libero da sostanze contaminanti. Nel Vangelo vediamo Gesù scardinare una certa concezione della purezza rituale legata all’esteriorità, che vietava ogni contatto con cose e persone (tra cui i lebbrosi e gli stranieri), considerati impuri. Ai farisei che, come tanti giudei di quel tempo, non mangiavano senza aver fatto le abluzioni e osservavano numerose tradizioni legate al lavaggio di oggetti, Gesù dice in modo categorico: «Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7,15.21-22).

In che consiste dunque la felicità che scaturisce da un cuore puro? A partire dall’elenco dei mali che rendono l’uomo impuro, enumerati da Gesù, vediamo che la questione tocca soprattutto il campo delle nostre relazioni. Ognuno di noi deve imparare a discernere ciò che può “inquinare” il suo cuore, formarsi una coscienza retta e sensibile, capace di «discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). Se è necessaria una sana attenzione per la custodia del creato, per la purezza dell’aria, dell’acqua e del cibo, tanto più dobbiamo custodire la purezza di ciò che abbiamo di più prezioso: i nostri cuori e le nostre relazioni. Questa “ecologia umana” ci aiuterà a respirare l’aria pura che proviene dalle cose belle, dall’amore vero, dalla santità.

Una volta vi ho posto la domanda: Dov’è il vostro tesoro? Su quale tesoro riposa il vostro cuore? (cfr Intervista con alcuni giovani del Belgio, 31 marzo 2014). Sì, i nostri cuori possono attaccarsi a veri o falsi tesori, possono trovare un riposo autentico oppure addormentarsi, diventando pigri e intorpiditi. Il bene più prezioso che possiamo avere nella vita è la nostra relazione con Dio. Ne siete convinti? Siete consapevoli del valore inestimabile che avete agli occhi di Dio? Sapete di essere amati e accolti da Lui in modo incondizionato, così come siete? Quando questa percezione viene meno, l’essere umano diventa un enigma incomprensibile, perché proprio il sapere di essere amati da Dio incondizionatamente dà senso alla nostra vita. Ricordate il colloquio di Gesù con il giovane ricco (cfr Mc 10,17-22)? L’evangelista Marco nota che il Signore fissò lo sguardo su di lui e lo amò (cfr v. 21), invitandolo poi a seguirlo per trovare il vero tesoro. Vi auguro, cari giovani, che questo sguardo di Cristo, pieno di amore, vi accompagni per tutta la vostra vita.

Il periodo della giovinezza è quello in cui sboccia la grande ricchezza affettiva presente nei vostri cuori, il desiderio profondo di un amore vero, bello e grande. Quanta forza c’è in questa capacità di amare ed essere amati! Non permettete che questo valore prezioso sia falsato, distrutto o deturpato. Questo succede quando nelle nostre relazioni subentra la strumentalizzazione del prossimo per i propri fini egoistici, talvolta come puro oggetto di piacere. Il cuore rimane ferito e triste in seguito a queste esperienze negative. Vi prego: non abbiate paura di un amore vero, quello che ci insegna Gesù e che san Paolo delinea così: «La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine» (1 Cor 13, 4-8).

Nell’invitarvi a riscoprire la bellezza della vocazione umana all’amore, vi esorto anche a ribellarvi contro la diffusa tendenza a banalizzare l’amore, soprattutto quando si cerca di ridurlo solamente all’aspetto sessuale, svincolandolo così dalle sue essenziali caratteristiche di bellezza, comunione, fedeltà e responsabilità. Cari giovani, «nella cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è “godere” il momento, che non vale la pena di impegnarsi per tutta la vita, di fare scelte definitive, “per sempre”, perché non si sa cosa riserva il domani. Io, invece, vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare veramente. Io ho fiducia in voi giovani e prego per voi. Abbiate il coraggio di andare controcorrente. E abbiate il coraggio anche di essere felici» (Incontro con i volontari alla GMG di Rio, 28 luglio 2013).

Voi giovani siete dei bravi esploratori! Se vi lanciate alla scoperta del ricco insegnamento della Chiesa in questo campo, scoprirete che il cristianesimo non consiste in una serie di divieti che soffocano i nostri desideri di felicità, ma in un progetto di vita capace di affascinare i nostri cuori!

3. … perché vedranno Dio

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Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuona continuamente l’invito del Signore: «Cercate il mio volto!» (Sal 27,8). Allo stesso tempo ci dobbiamo sempre confrontare con la nostra povera condizione di peccatori. E’ quanto leggiamo per esempio nel Libro dei Salmi: «Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro» (Sal 24,3-4). Ma non dobbiamo avere paura né scoraggiarci: nella Bibbia e nella storia di ognuno di noi vediamo che è sempre Dio che fa il primo passo. E’ Lui che ci purifica affinché possiamo essere ammessi alla sua presenza.

Il profeta Isaia, quando ricevette la chiamata del Signore a parlare nel suo nome, si spaventò e disse: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono» (Is 6,5). Eppure il Signore lo purificò, inviandogli un angelo che toccò la sua bocca e gli disse: «E’ scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato» (v. 7). Nel Nuovo Testamento, quando sul lago di Gennèsaret Gesù chiamò i suoi primi discepoli e compì il prodigio della pesca miracolosa, Simon Pietro cadde ai suoi piedi dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,8). La risposta non si fece aspettare: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (v. 10). E quando uno dei discepoli di Gesù gli chiese: «Signore, mostraci il Padre e ci basta», il Maestro rispose: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,8-9).

L’invito del Signore a incontrarlo è rivolto perciò ad ognuno di voi, in qualsiasi luogo e situazione si trovi. Basta «prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 3). Siamo tutti peccatori, bisognosi di essere purificati dal Signore. Ma basta fare un piccolo passo verso Gesù per scoprire che Lui ci aspetta sempre con le braccia aperte, in particolare nel Sacramento della Riconciliazione, occasione privilegiata di incontro con la misericordia divina che purifica e ricrea i nostri cuori.

Sì, cari giovani, il Signore vuole incontrarci, lasciarsi “vedere” da noi. “E come?” – mi potrete domandare. Anche santa Teresa d’Avila, nata in Spagna proprio 500 anni fa, già da piccola diceva ai suoi genitori: «Voglio vedere Dio». Poi ha scoperto la via dellapreghiera come «un intimo rapporto di amicizia con Colui dal quale ci sentiamo amati» (Libro della vita, 8, 5). Per questo vi domando: voi pregate? Sapete che potete parlare con Gesù, con il Padre, con lo Spirito Santo, come si parla con un amico? E non un amico qualsiasi, ma il vostro migliore e più fidato amico! Provate a farlo, con semplicità. Scoprirete quello che un contadino di Ars diceva al santo Curato del suo paese: quando sono in preghiera davanti al Tabernacolo, «io lo guardo e lui mi guarda» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2715).

Ancora una volta vi invito a incontrare il Signore leggendo frequentemente la Sacra Scrittura. Se non avete ancora l’abitudine, iniziate dai Vangeli. Leggete ogni giorno un brano. Lasciate che la Parola di Dio parli ai vostri cuori, illumini i vostri passi (cfr Sal119,105). Scoprirete che si può “vedere” Dio anche nel volto dei fratelli, specialmente quelli più dimenticati: i poveri, gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ammalati, i carcerati (cfr Mt 25,31-46). Ne avete mai fatto esperienza? Cari giovani, per entrare nella logica del Regno di Dio bisogna riconoscersi poveri con i poveri. Un cuore puro è necessariamente anche un cuore spogliato, che sa abbassarsi e condividere la propria vita con i più bisognosi.

L’incontro con Dio nella preghiera, attraverso la lettura della Bibbia e nella vita fraterna vi aiuterà a conoscere meglio il Signore e voi stessi. Come accadde ai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35), la voce di Gesù farà ardere i vostri cuori e si apriranno i vostri occhi per riconoscere la sua presenza nella vostra storia, scoprendo così il progetto d’amore che Lui ha per la vostra vita.

Alcuni di voi sentono o sentiranno la chiamata del Signore al matrimonio, a formare una famiglia. Molti oggi pensano che questa vocazione sia “fuori moda”, ma non è vero! Proprio per questo motivo, l’intera Comunità ecclesiale sta vivendo un periodo speciale di riflessione sulla vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Inoltre, vi invito a considerare la chiamata alla vita consacrata o al sacerdozio. Quanto è bello vedere giovani che abbracciano la vocazione di donarsi pienamente a Cristo e al servizio della sua Chiesa! Interrogatevi con animo puro e non abbiate paura di quello che Dio vi chiede! A partire dal vostro “sì” alla chiamata del Signore diventerete nuovi semi di speranza nella Chiesa e nella società. Non dimenticate: la volontà di Dio è la nostra felicità!

4. In cammino verso Cracovia

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«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Cari giovani, come vedete, questa Beatitudine tocca molto da vicino la vostra esistenza ed è una garanzia della vostra felicità. Perciò vi ripeto ancora una volta: abbiate il coraggio di essere felici!

La Giornata Mondiale della Gioventù di quest’anno conduce all’ultima tappa del cammino di preparazione verso il prossimo grande appuntamento mondiale dei giovani a Cracovia, nel 2016. Proprio trent’anni fa san Giovanni Paolo II istituì nella Chiesa le Giornate Mondiali della Gioventù. Questo pellegrinaggio giovanile attraverso i continenti sotto la guida del Successore di Pietro è stata veramente un’iniziativa provvidenziale e profetica. Ringraziamo insieme il Signore per i preziosi frutti che essa ha portato nella vita di tanti giovani in tutto il pianeta! Quante scoperte importanti, soprattutto quella di Cristo Via, Verità e Vita, e della Chiesa come una grande e accogliente famiglia! Quanti cambiamenti di vita, quante scelte vocazionali sono scaturiti da questi raduni! Il santo Pontefice, Patrono delle GMG, interceda per il nostro pellegrinaggio verso la sua Cracovia. E lo sguardo materno della Beata Vergine Maria, la piena di grazia, tutta bella e tutta pura, ci accompagni in questo cammino.

Dal Vaticano, 31 gennaio 2015
Memoria di san Giovanni Bosco

FRANCESCO

 

ANNO DELLA VITA CONSACRATA (30 novembre 2014-2 febbraio 2016)

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In questo Anno della Vita Consacrata voglio raccontarvi un episodio che postato su FB è diventato virale. Parla di uno scricciolo di Suora che, raccogliendo l’invito che una famosa catena alimentare come è McDonald, s’è messa in pigiama e ha aderito all’iniziativa della colazione gratuita ma non per se stessa bensì… per i suoi senzatetto e contagiando in questo tantissimi giovani che si sono fatti a loro volta volontari per offrire il loro tempo e la loro colazione ai poveri. Ecco tutto per bene raccontato in questo video: Sr Margherita e i senzatetto

http://video.repubblica.it/edizione/torino/la-suora-in-pigiama-che-sbanca-mcdonald-s-per-dare-la-colazione-ai-poveri/196167/195181

ANNO DELLA VITA CONSACRATA (30 novembre 2014-2 febbraio 2016)

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 Papa Francesco, nella Lettera pastorale ai consacrati (n. 3), dice di aspettarsi che «cresca la comunione tra i membri dei diversi Istituti». Auspica che questo Anno sia «l’occasione per uscire con maggior coraggio dai confini del proprio Istituto per elaborare insieme, a livello locale e globale, progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali… La comunione e l’incontro fra differenti carismi e vocazioni è un cammino di speranza». Mi auguro che l’esortazione del Papa possa trovare accoglienza da parte dei responsabili religiosi e si possa concretizzare in qualche iniziativa pastorale, educativa, assistenziale inter-congregazionale. Sarebbe un vero segno profetico per il nostro futuro. La via della comunione – come ho avuto modo di richiamare anche nella mia lettera pastorale L’amore più grande (n. 26) – è ampia e coinvolge tutta la nostra comunità ecclesiale, vale a dire consacrati/e, presbiteri diocesani e laici. La valorizzazione dell’apporto delle persone consacrate e dei religiosi e delle religiose in particolare è non solo possibile, ma necessario.

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Vi racconto una storia che, come dice il libro in cui l’ho trovata è  Il cuore oltre le sbarre

La storia la racconta Irene che in realtà è Giuditta Boscagli, e ogni pagina è un inno alla gratitudine, all’amore, quello vero degli occhi buoni di Pietro e del cuore buono di Dio e alla misericordia. Il romanzo racconta  la storia (vera) di delitto, carcere, amicizia, amore e redenzione dell’uomo che a marzo è diventato suo marito.

In questo video potete vedere lei che con grande emozione ma anche con tanta gratitudine racconta quello che il Signore ha regalato alla sua vita rendendola speciale.

Ed ecco il Te deum di Giuditta che ho trovato sul giornale Tempi:

Una mattina di gennaio, poco dopo le 6:00, sono stata svegliata da un sms del mio fidanzato: vi era scritta soltanto una data, ma io non avevo bisogno di altro per capire cosa volesse dirmi perché da mesi attendevamo che venisse fissata la camera di consiglio per lui che, dopo più di un decennio dietro le sbarre, aveva fatto richiesta di scontare la pena residua a casa.

Dal giorno dell’arresto era già trascorso parecchio tempo, anni vissuti sempre in buona condotta, con un desiderio reale (sostenuto da famiglia e amici) di riprendere in mano una vita che aveva rischiato di perdersi e spezzarsi per sempre. Il cammino intrapreso, la scelta di iniziare a vivere con gusto non poteva essere passata inosservata a giudici e magistrati e infatti, poco più di un mese dopo, la camera di consiglio si è riunita e dopo pochi giorni ne è stato comunicato l’esito positivo.

Il pomeriggio stesso della scarcerazione, dopo quasi quattro anni di fidanzamento, ho visto scendere dall’auto il mio futuro marito, finalmente certa che non si sarebbe fermato solo per pochi giorni, che non sarebbe stata solo una piacevole parentesi per doverci poi nuovamente salutare. Finalmente era a casa: le porte del carcere non lo avrebbero più atteso.

In quei primi giorni non abbiamo potuto, però, godere fino in fondo di questa gioia perché le preoccupazioni non ci hanno lasciato tregua: il lavoro che avrebbe dovuto svolgere una volta fuori era saltato per motivi legati alla crisi economica e avevamo paura che con esso, oltre allo stipendio, se ne andasse nuovamente la libertà appena riconquistata. Mi sono un po’ arrabbiata con Dio, perché pensavo che potesse risparmiargli almeno questa preoccupazione, dopo tutte le rinunce e i sacrifici che il carcere gli era costato. Allo stesso tempo guardavo con curiosità quel che stava accadendo perché ero certa che quel che il Signore aveva in mente per noi non poteva essere un male.

Una cerchia di amici ci ha sostenuto e ha cercato con noi un nuovo impiego, facendoci sentire accompagnati e abbracciati. Io non smettevo di pregare perché potesse non solo trovare un lavoro, ma riprendere a fare il suo mestiere e in un luogo in cui esprimersi al meglio.

La sorpresa di san Giuseppe
Il 19 marzo, giorno di san Giuseppe, gli ha telefonato un carpentiere che cercava un fabbro con esperienza: un uomo meraviglioso che lo ha guardato per quel che vale e non per gli errori compiuti in passato, che non si è lasciato spaventare nemmeno dalla burocrazia che la sua situazione impone e che lo ha accolto nella propria officina con quel calore umano che io avevo desiderato e domandato per lui.

Nel frattempo, in cinque settimane, abbiamo organizzato il matrimonio tanto atteso, considerando ogni incombenza come la possibilità di prenderci cura dei nostri invitati (abbiamo confezionato una quantità indefinibile di bomboniere, allestito il salone per il buffet, coinvolto amici e parenti nell’organizzazione della giornata).

Non vedevamo l’ora di entrare in chiesa, di metterci in ginocchio davanti all’altare per ringraziare Dio di averci donato l’una all’altro e di averlo fatto nelle circostanze così poco usuali che ha scelto per il nostro fidanzamento e che sono state per noi il segno più evidente della Sua cura amorevole. Desideravamo arrivare a quel giorno per affidare e consegnare per sempre il bene che ci vogliamo a Chi ce lo ha donato.

Il 29 marzo è stata una giornata meravigliosa perché è stato per tutti evidente che Dio, padre buono e fedele, ha condotto ciascuno dei nostri passi fino a quel sì, ha atteso i tempi e la libertà di ciascuno di noi due.

Circondati da parenti e amici, abbiamo visto con una potenza ancora più grande che gustiamo tanto la vita perché non siamo mai stati soli: intorno a noi c’era un popolo intero che ha condiviso ansie e gioie di questi quattro anni e che con noi ha consegnato il nostro cammino all’Unico che ogni giorno lo disegna perché sa dove esso è diretto.

Tanta Grazia da restituire
In questi anni abbiamo ricevuto così tanto che mi sono sentita in dovere di restituire a tutti almeno un soffio della Grazia che ci è stata donata e per questo, la scorsa estate, è stato pubblicato il romanzo in cui, in terza persona, racconto la nostra storia. Condividere la nostra vita privata è stata una decisione non banale né scontata per me, ma Dio ci ha affidato una grande speranza e io, sebbene mi senta inadeguata per un tale compito, ho accettato di compiere quel poco che sono in grado di fare affinché tutti ne siano raggiunti.

ANNO DELLA VITA CONSACRATA (30 novembre 2014-2 febbraio 2016)

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Come Vescovo e Pastore di questa nostra amata Chiesa di Torino, desidero non solo condividere con voi la speranza e la fiducia in Dio, ma anche indicare alcuni passi di futuro nello Spirito. Voi consacrati, con la vostra vita donata al Signore, siete chiamati anzitutto e prima di ogni altra cosa a mostrare la bellezza di un’esistenza spesa per amore del Signore. Quando i nostri fedeli vi incontrano personalmente o entrano nelle vostre comunità o partecipano alle vostre associazioni, si aspettano di incontrare persone contente, gioiose, aperte e fraterne perché seguono il Signore Gesù. Nel tempo dell’efficientismo e delle immagini vincenti che emarginano ed escludono i cosiddetti “perdenti”, voi siete chiamati a mostrare la verità delle parole di san Paolo: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). Testimoniate con gioia la vostra vocazione nella semplicità e nel distacco della povertà. A voi consacrati, papa Francesco affida la missione di essere profeti per “svegliare il mondo”. Il profeta è colui che ha il coraggio della verità e per questo non accetta i compromessi con i potenti e con le logiche del mondo, aborrendo ogni forma di idolatria. Le tentazioni mondane sono sempre forti e attraenti, nella Chiesa come nelle vostre Istituzioni. La vostra vita semplice, fraterna, povera e aperta a tutti, specialmente agli ultimi, è la profezia che annuncia oggi il Vangelo. Il Signore Gesù continua a parlare oggi anche con la vostra vita, se in essa traspare la gioia di seguire il Signore Gesù. Come Padre e Pastore di questa Chiesa, vi chiedo, sulla tracce dei vostri fondatori e fondatrici, di curare la qualità evangelica della vostra vita personale e comunitaria. Ne va del futuro vostro e di tutta la Chiesa. Un ulteriore passo che sento di dovervi indicare è quello della comunione a tutti i livelli. Mi rivolgo in particolare a voi religiosi e religiose che vivete in comunità. Vi esorto a far sì che esse siano sempre più fraterne, vale a dire luoghi di relazioni vere, gratuite, aperte e riconciliate. Il nostro tempo ha bisogno di scoprire che relazioni disinteressate, gratuite, sinceramente umane sono possibili: voi ne siete una testimonianza credibile. Nessuno vi chiede di essere uomini e donne senza limiti e fatiche esistenziali. Anzi, proprio la vostra concreta umanità vi renderà più significativi, perché potrete mostrare come la vostra fraternità sia soprattutto frutto del Signore e del suo Spirito. Comunione non solo nelle vostre comunità, ma anche tra di voi consacrati e consacrate. Purtroppo, anche nella nostra realtà ecclesiale, il mondo dei consacrati non sempre intesse reciproche collaborazioni. Ogni Istituto, comunità e associazione segue con cura e impegno percorsi pastorali e spirituali propri.

ANNO DELLA VITA CONSACRATA (30 novembre 2014-2 febbraio 2016)

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Tutta risplendente di luce, irradiante gioia e pervasa dal senso del mistero, la Festa della Presentazione di Gesù al tempio celebrata lunedì è da ormai molti anni anche Giornata della vita consacrata. Questo particolare rilievo è dovuto al fatto che nella Chiesa e nel mondo le persone consacrate sono chiamate a essere insieme segni luminosi e semi nascosti che si offrono alla terra allo scopo di portare frutto di salvezza per tutti. Come Gesù presentato al tempio e offerto, così ogni consacrato è un’offerta accolta dalla Chiesa e presentata a Dio quale primizia di tutto il popolo cristiano. Questo giorno è stato vissuto quest’anno con una maggiore responsabilità e consapevolezza, poiché è nel cuore dell’Anno che il Santo Padre ha voluto dedicare alla vita consacrata, proprio mentre la Chiesa si prepara anche a celebrare il Sinodo ordinario della famiglia. Una scelta inattesa (e forse anche un poco disattesa…), ma dal profondo significato spirituale. Vita consacrata e vita coniugale, infatti, non si oppongono, ma esprimono in diverso modo, nella comunione con Cristo, lo stesso mistero di grazia. Insieme possono cooperare al rinnovamento della nostra società che si va sempre più frantumando e laicizzando in senso negativo, fino a perdere la sua identità cristiana a danno soprattutto della sacralità della persona umana. Come ha detto il Santo Padre, questo Anno è un impegno e un dono per tutti i fedeli cristiani, perché in forza del Battesimo tutti sono consacrati e divengono tempio della Trinità e tutti insieme costituiscono la Chiesa, la casta Sposa del Cristo, famiglia di Dio.

Potremmo dire che la vita consacrata si caratterizza per la sua assoluta gratuità: è un dono che si riceve da Dio, si vive per Dio solo, e a Dio ritorna passando attraverso la preghiera di lode e di supplica e il servizio di carità, che è la più convincente prova del suo intrinseco valore. Come guida per vivere bene questo anno di grazia, il Santo Padre Francesco ha scritto una stupenda lettera apostolica nella quale invita i consacrati a «risvegliare il mondo» ed essere nell’attuale società testimoni credibili e incisivi del Vangelo, seminando comunione e andando fino nelle «periferie», perché «c’è un’umanità intera che aspetta». Che cosa aspetta? Il loro sostegno sia nella vita spirituale sia nell’attività educativa e assistenziale per le molteplici situazioni di bisogno, come pure per una prima o rinnovata evangelizzazione. Nelle varie espressioni di vita consacrata si dispiegano i carismi specifici, perciò si parla di vita contemplativa e vita attiva, di apostolato missionario e di assistenza agli “ultimi” – poveri, malati, piccoli e anziani abbandonati, giovani in difficoltà, emigrati… – tutti bisognosi soprattutto di fare esperienza di quell’amore oblativo – materno e paterno – che possono dare in abbondanza soltanto le persone che si sono offerte a Dio per tutti. Uomini e donne consacrati per essere totalmente al servizio degli altri mettono in pratica alla lettera la parole dell’apostolo Paolo: «Nessuno vive per se stesso, nessuno muore per se stesso» (Rm 14,7). Effettivamente la religiosa, il religioso non si appartengono più; sia nell’attività pratica che nella preghiera sono totalmente al servizio del prossimo, rendendo così il vero culto a Dio: «Vi esorto a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Per l’efficacia del sacrificio si richiede un impegno costante e la capacità di cooperazione con tutti gli uomini e le donne di buona volontà nel promuovere il bene comune, la giustizia e la pace, ossia promuovendo quella che si definisce la «civiltà dell’amore», la sola che può dare speranza a tanta parte dell’umanità afflitta dalla povertà materiale, morale e spirituale, oltre che dalla violenza e da tutte le forme di sopraffazione che turbano l’umana convivenza.

Pur con i loro limiti, di cui nessun uomo è del tutto esente, i consacrati sono chiamati a essere la più fedele espressione del Vangelo. Essi sono ben consapevoli di portare un tesoro in vasi di creta, ma cercano di conformarsi sempre più a Gesù Cristo, il Figlio di Dio, fattosi Uomo per elevare tutti gli uomini alla comunione di vita con Dio. otremmo dire che la vita consacrata si caratterizza per la sua assoluta gratuità: è un dono che si riceve da Dio, si vive per Dio solo, e a Dio ritorna passando attraverso la preghiera di lode e di supplica e il servizio di carità, che è la più convincente prova del suo intrinseco valore. Come guida per vivere bene questo anno di grazia, il Santo Padre Francesco ha scritto una stupenda lettera apostolica nella quale invita i consacrati a «risvegliare il mondo» ed essere nell’attuale società testimoni credibili e incisivi del Vangelo, seminando comunione e andando fino nelle «periferie», perché «c’è un’umanità intera che aspetta». Che cosa aspetta? Il loro sostegno sia nella vita spirituale sia nell’attività educativa e assistenziale per le molteplici situazioni di bisogno, come pure per una prima o rinnovata evangelizzazione. Nelle varie espressioni di vita consacrata si dispiegano i carismi specifici, perciò si parla di vita contemplativa e vita attiva, di apostolato missionario e di assistenza agli “ultimi” – poveri, malati, piccoli e anziani abbandonati, giovani in difficoltà, emigrati… – tutti bisognosi soprattutto di fare esperienza di quell’amore oblativo – materno e paterno – che possono dare in abbondanza soltanto le persone che si sono offerte a Dio per tutti. Uomini e donne consacrati per essere totalmente al servizio degli altri mettono in pratica alla lettera la parole dell’apostolo Paolo: «Nessuno vive per se stesso, nessuno muore per se stesso» (Rm 14,7). Effettivamente la religiosa, il religioso non si appartengono più; sia nell’attività pratica che nella preghiera sono totalmente al servizio del prossimo, rendendo così il vero culto a Dio: «Vi esorto a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1).

Per l’efficacia del sacrificio si richiede un impegno costante e la capacità di cooperazione con tutti gli uomini e le donne di buona volontà nel promuovere il bene comune, la giustizia e la pace, ossia promuovendo quella che si definisce la «civiltà dell’amore», la sola che può dare speranza a tanta parte dell’umanità afflitta dalla povertà materiale, morale e spirituale, oltre che dalla violenza e da tutte le forme di sopraffazione che turbano l’umana convivenza. Pur con i loro limiti, di cui nessun uomo è del tutto esente, i consacrati sono chiamati a essere la più fedele espressione del Vangelo. Essi sono ben consapevoli di portare un tesoro in vasi di creta, ma cercano di conformarsi sempre più a Gesù Cristo, il Figlio di Dio, fattosi Uomo per elevare tutti gli uomini alla comunione di vita con Dio.

Proprio in riferimento al Cristo, cui si configurano, la Chiesa ha nei religiosi e nelle religiose la «consolazione della bellezza» che consiste nella verginità consacrata; sono persone dal cuore indiviso, che attingono dall’amore di Cristo la fortezza per vincere il mondo schiavo della logica perversa del maligno, quella logica che toglie all’uomo la sua dignità e che ne deturpa il volto delineato sull’icona del Volto del Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria e cresciuto alla scuola dell’umile operaio di Nazareth, il «castissimo Giuseppe». Nella mentalità corrente, così intaccata dal virus dell’incredulità, la presenza di persone – uomini e donne – che vivono la fecondità dell’amore verginale sembra un’assurdità. Eppure proprio da un ambiente umano scettico, sterile e così contaminato nasce ancora oggi il fiore della vita consacrata a Dio che, con il suo profumo, purifica l’atmosfera di una società ossessionata dalla ricerca del piacere e di un’autorealizzazione che sfocia, per assurdo, nell’autodistruzione, poiché ciò che è corrotto ha in sé il germe della morte. Un intero anno dedicato a evidenziare il valore della vita consacrata offre l’opportunità di una riscoperta dei veri valori della persona umana quale è emersa dal Figlio di Dio fatto uomo e vissuto veramente come uomo, tutto consacrato al Padre. Nella molteplicità delle forme di vita consacrata, infatti, si compendia l’intero mistero della Redenzione, dalla vita nascosta a Nazareth, al ritiro nel deserto, alla predicazione pubblica, fino alla morte di Croce. Ma occorre davvero un chiaro “risveglio” della fede, perché senza credere che a Dio tutto è possibile, si rimane nella paralisi della vita spirituale, dietro uno schermo che nasconde lo splendore della verità e della bellezza consolatrice, necessarie per apprezzare il dono della vita che il Cristo è venuto a restaurare con il suo sacrificio redentore. È proprio così, con il dono estremo dell’amore crocifisso, che Egli ha manifestato la sua divina bellezza nell’umana natura che si è degnato di assumere per trasfigurarla e introdurla nel Regno della vita incorruttibile ed eterna.

La vita consacrata ha in particolare proprio questo carattere escatologico: è profezia e già inizio su questa terra della vita del Regno dei cieli, nel quale – come bene sintetizzava il beato Antonio Rosmini – la creatura umana, resa partecipe della gloria divina, sarà pienamente felice nell’adorare, tacere, godere. L’anelito alle realtà eterne, mentre si cammina sulla scena di questo mondo che passa, non è generalmente spontaneo. C’è bisogno che vi siano segni indicatori: le persone consacrate possono appunto esercitare anche questa attrazione verso la mèta finale dell’intera umanità, affinché il pellegrinaggio, pur con tutte le sue fatiche, avvenga sempre nella speranza e giunga al suo felice compimento.

Fonte: avvenire.it, 04/02/2015

ANNO DELLA VITA CONSACRATA (30 novembre 2014-2 febbraio 2016)

Un incontro informale e pieno di contenuti tutti da ascoltare. Suor Costanza è Figlia della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, è un medico e lavora all’ospedale di Livorno nell’Hospice, il reparto dei malati terminali.

Risiede nella Casa di Quercianella, Villa Maris Stella, una bella struttura sul mare capace di ospitare famiglie e singoli per un soggiorno marino, con ampio parco in una zona prossima al centro abitato con tutte le comodità (Via Puccini, – 57128 Quercianella LI – Tel: 0586 491229).

In una zona laterale del parco, invisibile agli occhi degli ospiti, è stata aperta “La Casa”, una struttura per malati terminali con lo scopo di accogliere chi non ha nessuna protezione come le badanti e i senza reddito.