Archivio per 26 marzo 2015

sbarre

Vi racconto una storia che, come dice il libro in cui l’ho trovata è  Il cuore oltre le sbarre

La storia la racconta Irene che in realtà è Giuditta Boscagli, e ogni pagina è un inno alla gratitudine, all’amore, quello vero degli occhi buoni di Pietro e del cuore buono di Dio e alla misericordia. Il romanzo racconta  la storia (vera) di delitto, carcere, amicizia, amore e redenzione dell’uomo che a marzo è diventato suo marito.

In questo video potete vedere lei che con grande emozione ma anche con tanta gratitudine racconta quello che il Signore ha regalato alla sua vita rendendola speciale.

Ed ecco il Te deum di Giuditta che ho trovato sul giornale Tempi:

Una mattina di gennaio, poco dopo le 6:00, sono stata svegliata da un sms del mio fidanzato: vi era scritta soltanto una data, ma io non avevo bisogno di altro per capire cosa volesse dirmi perché da mesi attendevamo che venisse fissata la camera di consiglio per lui che, dopo più di un decennio dietro le sbarre, aveva fatto richiesta di scontare la pena residua a casa.

Dal giorno dell’arresto era già trascorso parecchio tempo, anni vissuti sempre in buona condotta, con un desiderio reale (sostenuto da famiglia e amici) di riprendere in mano una vita che aveva rischiato di perdersi e spezzarsi per sempre. Il cammino intrapreso, la scelta di iniziare a vivere con gusto non poteva essere passata inosservata a giudici e magistrati e infatti, poco più di un mese dopo, la camera di consiglio si è riunita e dopo pochi giorni ne è stato comunicato l’esito positivo.

Il pomeriggio stesso della scarcerazione, dopo quasi quattro anni di fidanzamento, ho visto scendere dall’auto il mio futuro marito, finalmente certa che non si sarebbe fermato solo per pochi giorni, che non sarebbe stata solo una piacevole parentesi per doverci poi nuovamente salutare. Finalmente era a casa: le porte del carcere non lo avrebbero più atteso.

In quei primi giorni non abbiamo potuto, però, godere fino in fondo di questa gioia perché le preoccupazioni non ci hanno lasciato tregua: il lavoro che avrebbe dovuto svolgere una volta fuori era saltato per motivi legati alla crisi economica e avevamo paura che con esso, oltre allo stipendio, se ne andasse nuovamente la libertà appena riconquistata. Mi sono un po’ arrabbiata con Dio, perché pensavo che potesse risparmiargli almeno questa preoccupazione, dopo tutte le rinunce e i sacrifici che il carcere gli era costato. Allo stesso tempo guardavo con curiosità quel che stava accadendo perché ero certa che quel che il Signore aveva in mente per noi non poteva essere un male.

Una cerchia di amici ci ha sostenuto e ha cercato con noi un nuovo impiego, facendoci sentire accompagnati e abbracciati. Io non smettevo di pregare perché potesse non solo trovare un lavoro, ma riprendere a fare il suo mestiere e in un luogo in cui esprimersi al meglio.

La sorpresa di san Giuseppe
Il 19 marzo, giorno di san Giuseppe, gli ha telefonato un carpentiere che cercava un fabbro con esperienza: un uomo meraviglioso che lo ha guardato per quel che vale e non per gli errori compiuti in passato, che non si è lasciato spaventare nemmeno dalla burocrazia che la sua situazione impone e che lo ha accolto nella propria officina con quel calore umano che io avevo desiderato e domandato per lui.

Nel frattempo, in cinque settimane, abbiamo organizzato il matrimonio tanto atteso, considerando ogni incombenza come la possibilità di prenderci cura dei nostri invitati (abbiamo confezionato una quantità indefinibile di bomboniere, allestito il salone per il buffet, coinvolto amici e parenti nell’organizzazione della giornata).

Non vedevamo l’ora di entrare in chiesa, di metterci in ginocchio davanti all’altare per ringraziare Dio di averci donato l’una all’altro e di averlo fatto nelle circostanze così poco usuali che ha scelto per il nostro fidanzamento e che sono state per noi il segno più evidente della Sua cura amorevole. Desideravamo arrivare a quel giorno per affidare e consegnare per sempre il bene che ci vogliamo a Chi ce lo ha donato.

Il 29 marzo è stata una giornata meravigliosa perché è stato per tutti evidente che Dio, padre buono e fedele, ha condotto ciascuno dei nostri passi fino a quel sì, ha atteso i tempi e la libertà di ciascuno di noi due.

Circondati da parenti e amici, abbiamo visto con una potenza ancora più grande che gustiamo tanto la vita perché non siamo mai stati soli: intorno a noi c’era un popolo intero che ha condiviso ansie e gioie di questi quattro anni e che con noi ha consegnato il nostro cammino all’Unico che ogni giorno lo disegna perché sa dove esso è diretto.

Tanta Grazia da restituire
In questi anni abbiamo ricevuto così tanto che mi sono sentita in dovere di restituire a tutti almeno un soffio della Grazia che ci è stata donata e per questo, la scorsa estate, è stato pubblicato il romanzo in cui, in terza persona, racconto la nostra storia. Condividere la nostra vita privata è stata una decisione non banale né scontata per me, ma Dio ci ha affidato una grande speranza e io, sebbene mi senta inadeguata per un tale compito, ho accettato di compiere quel poco che sono in grado di fare affinché tutti ne siano raggiunti.

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ANNO DELLA VITA CONSACRATA (30 novembre 2014-2 febbraio 2016)

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Come Vescovo e Pastore di questa nostra amata Chiesa di Torino, desidero non solo condividere con voi la speranza e la fiducia in Dio, ma anche indicare alcuni passi di futuro nello Spirito. Voi consacrati, con la vostra vita donata al Signore, siete chiamati anzitutto e prima di ogni altra cosa a mostrare la bellezza di un’esistenza spesa per amore del Signore. Quando i nostri fedeli vi incontrano personalmente o entrano nelle vostre comunità o partecipano alle vostre associazioni, si aspettano di incontrare persone contente, gioiose, aperte e fraterne perché seguono il Signore Gesù. Nel tempo dell’efficientismo e delle immagini vincenti che emarginano ed escludono i cosiddetti “perdenti”, voi siete chiamati a mostrare la verità delle parole di san Paolo: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). Testimoniate con gioia la vostra vocazione nella semplicità e nel distacco della povertà. A voi consacrati, papa Francesco affida la missione di essere profeti per “svegliare il mondo”. Il profeta è colui che ha il coraggio della verità e per questo non accetta i compromessi con i potenti e con le logiche del mondo, aborrendo ogni forma di idolatria. Le tentazioni mondane sono sempre forti e attraenti, nella Chiesa come nelle vostre Istituzioni. La vostra vita semplice, fraterna, povera e aperta a tutti, specialmente agli ultimi, è la profezia che annuncia oggi il Vangelo. Il Signore Gesù continua a parlare oggi anche con la vostra vita, se in essa traspare la gioia di seguire il Signore Gesù. Come Padre e Pastore di questa Chiesa, vi chiedo, sulla tracce dei vostri fondatori e fondatrici, di curare la qualità evangelica della vostra vita personale e comunitaria. Ne va del futuro vostro e di tutta la Chiesa. Un ulteriore passo che sento di dovervi indicare è quello della comunione a tutti i livelli. Mi rivolgo in particolare a voi religiosi e religiose che vivete in comunità. Vi esorto a far sì che esse siano sempre più fraterne, vale a dire luoghi di relazioni vere, gratuite, aperte e riconciliate. Il nostro tempo ha bisogno di scoprire che relazioni disinteressate, gratuite, sinceramente umane sono possibili: voi ne siete una testimonianza credibile. Nessuno vi chiede di essere uomini e donne senza limiti e fatiche esistenziali. Anzi, proprio la vostra concreta umanità vi renderà più significativi, perché potrete mostrare come la vostra fraternità sia soprattutto frutto del Signore e del suo Spirito. Comunione non solo nelle vostre comunità, ma anche tra di voi consacrati e consacrate. Purtroppo, anche nella nostra realtà ecclesiale, il mondo dei consacrati non sempre intesse reciproche collaborazioni. Ogni Istituto, comunità e associazione segue con cura e impegno percorsi pastorali e spirituali propri.