Omelia del Ministro Generale alla celebrazione di apertura del Perdono di Assisi
Nella Lettera ai Galati, san Paolo ricorda agli abitanti della Galazia e anche a ciascuno di noi, convenuti qui per questa solenne celebrazione del Perdono d’Assisi:
“Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio” (Gal 4, 6-7).
Figlio di Dio ed erede del Regno di Dio: questo siamo diventati attraverso il Battesimo e attraverso la vittoria di Gesù sull’odio, sul male e su tutte le altre forze negative che sono ancora all’opera nel mondo oggi. Siamo figli amati di un Padre colmo di grazia e di amore. Perciò siamo chiamati a gridare: “Abbà!” cioè: “Padre!”. Non siamo più schiavi, nonostante portiamo ancora le ferite della schiavitù; nonostante magari non ci sentiamo ancora del tutto accolti né completamente perdonati; nonostante siamo feriti dal fatto di non riuscire a perdonare chi ci sta vicino – la moglie, il marito, i figli, i genitori, i vicini, i colleghi di lavoro e tutti coloro che teniamo schiavi nella nostra mente e nel nostro cuore.
Se siamo davvero figli amati di un Padre amante, perché ci risulta ancora così difficile chiedere perdono a Dio? Perché è così difficile perdonare noi stessi e gli altri? Che cosa ci tiene prigionieri di questo circolo vizioso per cui ci sentiamo ancora schiavi? Forse perché non abbiamo ancora aperto completamente il nostro cuore alla misericordia e alla compassione di Dio e non ci siamo ancora aperti incondizionatamente al suo perdono. Molti di noi continuano a credere che l’amore di Dio non sia abbastanza forte da superare i peccati che abbiamo commesso e i tentativi falliti di vivere da veri discepoli di Cristo. Una volta è venuto da me un ex-militare e mi ha confessato di aver ucciso un uomo durante la guerra in Kuwait. L’aveva già confessato diverse altre volte, ogni volta mendicando perdono e misericordia per la vita umana che aveva brutalmente ucciso. Ma era come se non gli bastasse sentirsi dire ogni volta: “Dio ti perdona, perché ti ama e perché tu sei davvero pentito e gli chiedi perdono”. Nonostante queste parole, non riusciva a togliersi dalla testa quel peccato d’omicidio. Questo era il suo fallimento: non riuscire ad accettare il perdono di Dio. E questo fallimento non gli permetteva di amare e accettare se stesso, di amare e accogliere sua moglie, di amare e fare spazio nella sua vita ai suoi figli e a tutti coloro che gli erano cari e gli stavano vicino. Le conseguenze laceranti del suo peccato restavano lì e gli impedivano di sperimentare davvero la libertà che Dio gli offriva continuamente.
Quanti di noi hanno commesso gravi azioni, contrarie all’amore di Dio e del prossimo? Quanti di noi trovano difficoltà nel perdonarsi i gravi errori commessi in passato? E, a motivo di tutto ciò, quanti di noi si ritengono incapaci di perdonare il prossimo, di “rendere libero” il prossimo, in modo da poterlo abbracciare per quello che realmente è, cioè figlio amato di Dio, nostro fratello (o sorella) nel Signore Gesù?
Come Papa Francesco ci ricorda nella Misericordiae Vultus [par. 2], invitandoci a celebrare l’Anno Santo della Misericordia:
“Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro.
Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”.
“LA speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato!” Questo è il significato della celebrazione del Perdon d’Assisi. Siamo qui, davanti a Dio, davanti alla Chiesa, gli uni davanti agli altri, tutti peccatori e tutti figli amati di Dio, pronti ad ascoltare ancora una volta parole di speranza e di libertà. Ogni anno veniamo ad Assisi per lasciare che Dio ci aiuti ad aprire il nostro cuore alla speranza di essere amati per sempre! Proprio questa speranza di essere amato e perdonato per sempre ha fatto sì che San Francesco capisse la rivelazione che gli era stata concessa qui alla Porziuncola nel 1216, mentre era tutto assorto in preghiera. Francesco ha ammesso le sue debolezze, i suoi peccati, la sua mancanza di fede in Dio. Come ciascuno di noi, anche lui portava addosso le cicatrici del peccato, che ci sfigurano e ci rendono incapaci di amare e di perdonare. San Francesco, però, portava anche nel suo cuore il desiderio ardente di ottenere la misericordia e il perdono di Dio e di diventare messaggero per il mondo di queste grazie speciali. Egli voleva che la grazia della misericordia e del perdono di Dio fosse viva nel cuore dei suoi frati. E voleva che questi doni venissero offerti a tutta l’umanità e a tutto il creato, come il Cantico delle Creature ci lascia intendere. Così san Francesco desiderava che il perdono di Dio potesse condurre sulla via della riconciliazione, la quale, a sua volta, avrebbe raggiunto gli estremi confini del mondo.
Come abbiamo sentito all’inizio di questa celebrazione eucaristica, proprio mentre si trovava in preghiera, San Francesco vide un raggio di luce che illuminava l’amore e la pace di Gesù, con sua Madre, Maria, lì accanto a lui, e gli Angeli che testimoniavano la misericordia e il perdono per tutti coloro che si rivolgono a Dio. San Francesco chiedeva semplicemente che tutti potessero sperimentare nella propria vita l’amore senza limiti e il perdono travolgente di Dio. Inoltre, desiderava che tutti potessero vivere insieme nella pace e nella gioia del Cristo, celebrando il dono dello Spirito di adozione a figli amati di Dio e coeredi del Regno. Così, san Francesco sperava che la sua vita, quella dei suoi fratelli e di tutti quelli che chiedevano perdono a Dio con cuore aperto e limpido sarebbe diventata un dono reciproco di beatitudine e una testimonianza della gioia del Vangelo.